Giornalismi e razzismo

21 novembre 2016: accompagnata dal mio sempre prezioso papà, dopo 3 ore e mezza di viaggio, arrivo a Genova. Albergo dei Poveri (questo sconosciuto), torre centrale, esame d’ammissione alla magistrale in Informazione ed Editoria. Ovviamente in anticipo, mi ritrovo da sola con una ragazza e la sua testa enormemente riccioluta: Giulia; bene, non sono più da sola.
Prova scritta, test di inglese e colloquio motivazionale.

17 gennaio 2019: 6 mesi di lavoro mi portano in via Balbi 5, terzo piano, Aula Mazzini. Non è stato semplice. Ho alternato momenti di totale spensieratezza a momenti di proficuo impegno, con punte di attacchi di panico. Ho maledetto il 21 novembre 2016 ma, infine, “Giornalismi e razzismo: come il lessico influenza il pubblico” ha visto la luce, e con una discussione apprezzata, oserei dire.

Perché giornalismi e razzismo?

Ecco la storia della mia tesi: a fine 2017 andai dal professore di Letteratura chiedendogli di essere il mio relatore; accettò e io inizia a lavorare su Oreste del Buono. Qualche mese più tardi mi resi conto che una tesi compilativa non faceva per me. Salutai cordialmente il professore di Letteratura e mi avvicinai al contorto mondo dell’Etica della comunicazione. In fondo, ho adorato Flavio Baroncelli e il suo Il razzismo è una gaffe. Inoltre era da tempo che rimuginavo sul rapporto tra giornalismi e razzismo: davvero le notizie riportate dai giornali possono scatenare atteggiamenti razzisti nel pubblico?

Il piano originale prevedeva di scoprire (o – meglio – provare a scoprire) come avvenga questo processo e in che misura. Il progetto della tesi ha dovuto essere ridimensionato ma il risultato è stato comunque soddisfacente.

Summa cum laude

Con l’augurio di poter proseguire e approfondire la mia ricerca in un percorso di dottorato, il mio correlatore ha giustamente fatto il punto: nella mia tesi sono riuscita a formulare un’ipotesi di ricerca sull’influenza che la comunicazione giornalistica ha sul pregiudizio e il razzismo del pubblico cui si rivolge.

Nella prima parte ho analizzato ricerche ben più rilevanti della mia: Van Dijk, Bentivegna, Enrico Cheli (che ho apprezzato particolarmente), inoltrandomi poi in una ricerca pratica: quali termini sono stati utilizzati nelle pubblicazioni giornalistiche online di cronaca negli ultimi mesi? E quante volte? È vero – come sostengono alcuni – che la stampa italiana dà maggiore peso e spazio ai crimini commessi da immigrati o da persone di etnia non italiana?

Conclusione?

Abbiamo visto come nel caso degli articoli raccolti che trattano di femminicidio le notizie di crimini commessi da stranieri non siano presenti in numero sufficiente perpoter parlare di un’effettiva influenza sul pregiudizio del pubblico. Un po’ perché, in Italia, la maggior parte dei femminicidi viene commessa da italiani e un po’ perché le testate che abbiamo voluto prendere in considerazione e analizzare hanno limitato l’indicazione della nazionalità dell’assassino nei titoli a soli quattro articoli, distribuiti su quattro testate, in tre anni.
Differente è invece la situazione registrata per quanto concerne la tendenza dei titoli di notizie che abbiano per oggetto la violenza di ordine sessuale. Qui viene data rilevante visibilità all’informazione “nazionalità”, che si trova esplicitata nel 13% dei titoli pubblicati dalle quattro testate nei tre anni di riferimento. Questa caratteristica, in parte da una possibile scelta ideologica e, in parte, dalla “necessità” della testata giornalistica di vendere il proprio prodotto, ossia la notizia: se, infatti, il pubblico target del quotidiano risponde positivamente – interazionalmente parlando – ai titoli che indicano la nazionalità di un reo, la linea editoriale protenderà per aumentarne la presenza globale. Allo stesso tempo, però, questa specificazione nella “vetrina” dell’articolo fomenta – probabilmente – l’interazione online del pubblico della testata, andando ad aumentare nuovamente la necessità della stessa di proporre la nazionalità nel titolo.

Senza dilungarmi sulle conclusioni tratte, l’elaborato è stato apprezzato dalla commissione.

Il 17 gennaio 2019, dopo due anni e un mese passati tra l’Albergo dei Poveri e via Balbi, il mio percorso magistrale si è concluso.